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Catalogue
Preface
U. N. :[No title], p. 3-5
“Queste ‘Nuove Tendenze’ che, nelle ospitali sale della Famiglia Artistica, affrontano per la prima volta quello che si chiama il giudizio del pubblico, col dileggiato programma d’escludere “tutte le manifestazioni d’arte che nelle consuete Esposizioni trovano già il loro naturale ambiente”, non tentano rumorose premesse, né per accaparrarsi la benevolenza, né per violare la simpatia di quanti non si ritengono estranei al fenomeno artistico contemporaneo.
Abbiamo varcato il limite – quale? - d’ogni espressione d’arte, o fatto sprizzare una scintilla ad illuminare un caos, o contribuito a crearlo, o rotto il torpore di chi [p. 3] s’accontenta delle idee fatte, o semplicemente espresso attraverso qualche temperamento il tormentato divenire di nuove e inutile realtà nel campo estetico?
La domanda non esprime un dubbio. V’è troppa fede in chi tra noi, in un ambiente come il nostro, non sorretto, non diciamo dal consenso, ma neppure dalla simpatia benevola dei più, osa affermare che l’arte segue il suo logico progredire, anche se sembra così in contrasto colle formule consuete.
Noi crediamo che un’affermazione come la nostra non potrà mai esser infeconda.
Giudicateci intanto nelle opere ed anche nelle intenzioni; chè noi domandiamo qualcosa di più utile del puro consenso e della pura simpatia. Domandiamo che non ci si rinneghi a priori il diritto d’aver osato di vedere e di [p. 4] sentire più in là, e d’avere tentato d’esprimere quello che abbiamo veduto e sentito. Noi ci teniamo ad essere incomprensibili ad oltranza, né a profanare per puro capriccio di novità il senso estetico dei più: ma d’apparire solo onesti collaboratori a favore d’una sempre più ampia e libera espressione, attraverso la quale soltanto sentiamo che l’arte nostra, potrà, anzi dovrà, trovare i suoi più vitali elementi. U. N. “ [ p. 5]
Leonardo Dudreville: [No title], p. 6-12
“Io mi rivolgo ai pochissimi dotati della natura di sensibilità e intuizione. L’esperienza mi ha insegnato che nessun commento, sia pur ampio e preciso fino ai limiti estremi del possibile, può servire a dimostrare la logica, la fatalità, l’opportunità di una formola estetica nuova se non a coloro che già possiedano confusamente in germe.
A questi io mi rivolgo. Il destino degli altri è di comprendere nei loro lontani nipoti.
***
Le opere da me presentate non pretendono racchiudere un valore definitivo. Esse, d’altronde, non realizzano che una piccolissima parte della mia aspirazione e non rappresentano, per ciò, che una tappa verso la mèta che mi sono proposto.
In esse io ho fissata e realizzata graficamente la sintesi dello stato d’animo determinatosi in me al contatto dellaa mia indi- [p. 6] vidualità psichica, interna, con la vita-ambiente esterna, che mi circonda. Nella costruzione dell’artificio pittorico “quadro” io mi sono servito di formule pittorico-estetiche mie speciali, che tenterò riassumere nelle brevi noti seguenti.
Nelle mie opere di pittura:
1. Non rappresentazione verista o deformazione lirica della realtà concepita, interpretata e resa secondo il criterio tradizionale di ottica fotografica. Operando direttamente sull’animo dello spettatore e attraverso alla sua sensibilità, esse vogliono avere un ufficio emotivo, e ricostruire, nello stesso, uno stato d’animo lirico o drammatico o comico analogo a quello a mia volta subito nel contatto con la realtà-ambiente, causa-determinante dell’emozione.
2. Nessuna intenzione musicale o letteraria che rifletta qualunque forma d’arte; il più stretto rigore, invece, tanto nella scelta degli elementi emotivi della realtà-ambiente quanto nella loro tradizione e realizzazione grafica, affinchè appartengano tutti esclusivamente al dominio puro del senso “vista”
3. Determinazione aprioristica di abolire anche una parziale rappresentazione dell’aspetto esteriore, fotografico, dell’oggetto-causa-determinante dell’emozione per raggiungere, ad [p. 7] ogni costo, la sua essenza espressiva interiore, caratteristica e sintetica e tradurla graficamente nella multipla potenza di forma, colore, profondità, ecc. ecc., spoglia, ormai, di ogni immediata, superficiale apparenza realistica. Ciò io chiamo ASTRAZIONE. da non confondersi con fantasia, che, in tal caso, diverrebbe un equivalente di arbitrio.
4. Facoltà, secondo le leggi intransigenti della sensibilità di amalgamare e sovrapporre nel quadro ciò che esiste nella sua corposità reale e ciò che la memoria visiva suggerisce: questa libertà crea l’antitesi nelle condizioni di luogo.
5. Accomunamento nello stesso quadro di momenti diversi, tanto per ciò che riflette la corposità reale che la visione mnemonica. Abbiamo così l’antitesi nelle condizioni di tempo, che unitamente all’antitesi nelle condizioni di luogo, viene a formare, per la pronta sensibilità dello spettatore, una rete suggestiva di proposte emotive emananti dalle combinazioni grafico-cromatiche del quadro.
6. Realizzazione di un criterio architettonico nella costruzione del quadro favorevole e adatto a formare nello spettatore quello stato d’animo da me prescelto e voluto.
7. Realizzazione della sintesi massima, tanto nella [p. 8] scelta degli elementi emotivi che nella loro traduzione grafica, e, conseguentemente, nella costruzione del quadro.
8. Realizzazione di una ritmica arbitraria, non basata cioè su un criterio geometrico di proporzione. (Una ritmica geometrica nella proporzione e nella distanza ucciderebbe l’opera pittorico pura, tramutandola in decorazione).
9. Trattazione (come condizione di assoluta necessità) di un fatto-soggetto-nucleo, tale da animare e giustificare l’opera d’arte e dar luogo al cozzo, all’antitesi, alla comparazione dei varî elementi emotivi: senza di che non esiste che “materiale d’arte”, o esercitazione didattico-dimostrativa.
La potenzialità espressiva ed emotiva del quadro sentito, concepito e costruito secondo tali miei principî, riposa dunque essenzialmente nell’applicazione e nello sviluppo tecnico di questo assioma-base intrecciato in tutte le sue possibili combinazioni:
Una Forma F ha una possibilità emotiva propria e diversa di una forma F’ ed un colore C ha una possibilità emotiva propria e diversa di un colore C’.
Quest’affermazione fondamentale, apparentemente semplice e sterile, per l’artista che sappia ben penetrare tutte le potenzialità e tutte le possibilità, sarà la rivelazione di nuovi e smisurati [p. 9] orizzonti che gli permetteranno di possedere l’eterna vicenda della vita con sensibilità rinnovata e con fresca e vitale energia.
***
Ho detto, non a caso, che i miei quadri non rappresentano se non una piccola parte della mia aspirazione. Infatti essi stanno a testimoniare soltanto una forma transitoria, un gradino fatale, inevitabile per arrivare ad una maggiore efficacia espressiva raggiunta per mezzo dell’astrazione. Senonchè l’espressione pittorica astratta e basata sui criterî ritmico-plastico-architettonici, agenti direttamente sulla sensibilità dello spettatore, realizzati da un artificio capace soltanto di fissarli graficamente e cromaticamente, privi, quindi dell’elemento ‘moto’ che ne giustifichi gli andamenti e le analogie con la realtà da cui ebbero origine, appare ancora troppo spettralmente mummificata, troppo scura, quasi arbitraria.
D’altra parte, la lotta immane e sproporzionata al risultato sostenuta contro la materia nella costruzione del quadro, e la meschina, limitatissima, grigia e instabile tavolozza concessa delle materie colorate in uso, sono altrettante buone ragioni che mi hanno sempre spinto a desiderare ardentemente un mezzo pittorico, il cui impiego richiedesse pure maggiore sforzo celebrale a tutto scapito della presente abilità manuale, ma risultasse, altresì, capace [p. 10] di offrire le gamme cromatiche più smaglianti, resistenti ed incorporee ad un tempo, e desse, inoltre. alla pittura la possibilità di uscire dalla sua gelida, funebre prigione statica, per invadere trionfalmente il dominio vivificatore del movimento reale e conseguire quella potenza di attrazione e di fascino che soltanto la musica ha finora posseduto pienamente e senza contrasto.
Convinto poi, che la sensibilità di tutti (più o meno coscientemente, in rapporto alla raffinatezza degli individui) rimanga inesorabilmente inappagata dalla fissità statica dell’espressione artistica grafica e plastica, che si dimostra in aperto contrasto, non solo con tutte le altre forme d’arte, ma più ancora col turbinoso, quotidiano svolgersi della vita che ci circonda; sicuro che la constatazione di tale nuova coscienza estetica determinatasi in noi colloca inesorabilmente l’artificio ‘pittura’ in condizioni di insufficienza rispetto alle sue funzioni e alla nostra sensibilità, non dubito menomamente che tale gravissimo rivolgimento che la pittura dovrà subire sia l’unico mezzo mediante il quale essa potrà riacquistare il diritto della vita, ormai negatole più o meno palesemente ( e ne fa fede l’interesse che suscita, realmente, non apparentemente, sulle masse).
Perciò io affiderò l’espressione della mia sensibilità pittorica al mezzo ‘luce’, il quale con mobili ritmi cromatici (incorporei e puri perchè liberati dalla materia e inalterabili nel tempo, perché dominati da leggi fisiche al pari al suono) mi permetterà di realizzare, in unione ad altri elementi, la sola forma d’arte degna di noi, e capace di avvincere potentemente tutti colori che per ragioni fisico-psichiche non si dimostrino fatalmente esclusi dall’arte. Milano, 20 maggio 1914. Leonardo Dudreville” [p. 12]
Antonio Sant’Elia: [No title], p. 13-19
“Il problema dell’architettura moderna non è un problema di rimaneggiamento lineare.
Non si tratta di trovare nuove sagome, nuove marginature di finestre e di porte, di sostituire le colonne, i pilastri, le mensole con cariatidi, con mosconi, con rane; non si tratta di lasciare la facciata a mattone nudo, o di intonacarla o di rivestirla di pietra; non si tratta, in una parola, di determinare differenze formali tra l’edificio nuovo e quello vecchio; ma di creare di sana pianta la casa nuova costruita, tesoreggiando ogni risorsa della scienza e della tecnica, appagando signorilmente ogni esigenza del nostro costume e del nostro spirito, calpestando quanto è grottesco, pesante e antitetico con noi (tradizione, stile, estetica, proporzione) determinando nuove forme, nuove linee, una nuova armonia di profili e di volumi, un’architettura che abbia la sua ragione d’essere solo nelle condizioni speciali della vita moderna, e la sua rispondenza come valore estetico nella nostra sensibilità. [p.13]
Quest’architettura non può essere naturalmente soggetta a nessuna legge di continuità storica. Essa deve essere nuova come sono nuovi il nostro stato d’animo e le contingenze del nostro momento storico.
L’arte di costruire ha potuto evolversi nel tempo e passare da uno stile all’altro mantenendo inalterati i caratteri generali dell’architettura, perché nella storia sono frequenti mutamenti di moda e quelli determinati dall’avvicendarsi dei convincimenti religiosi e dal succedersi degli ordinamenti politici; ma sono rarissime quelle cause di profondo mutamento nelle condizioni dell’ambiente che scardinano e rinnovano, come la scoperta di leggi naturali, il perfezionamento di mezzi meccanici, l’uso razionale e scientifico del materiale.
Nella vita moderna il processo di conseguente svolgimento stilistico nell’architettura si arresta.
L’architettura si stacca dalla tradizione; si ricomincia da capo per forza.
Il calcolo sulla resistenza dei materiali, l’uso del cemento armato e del ferro escludono l’ ‘architettura’ intesa nel senso classico e tradizionale. I materiali moderni di costruzione e le nostre nozioni scientifiche, non si prestano assolutamente alla disciplina degli stili storici, e sono la causa principale dell’aspetto grottesco delle costruzioni ‘alla moda’ nelle quali si vorrebbe [p. 14] ottenere dalla leggerezza, dalla snellezza superba della poutrelle e della fragilità del cemento armato, la curva pesante dell’arco e l’aspetto massiccio del marmo.
La formidabile antitesi tra il mondo moderno e quello antico è determinata da tutto quello che prima non c’era. Nella nostra vita sono entrati elementi di cui gli antichi non hanno neppure sospettata la possibilità; si sono determinate contingenze materiali e si sono rilevati atteggiamenti dello spirito che si percuotono in mille effetti; primo fra tutti la formazione di un nuovo ideale di bellezza ancora oscuro e embrionale, ma di cui già si sente il fascino anche la folla. Abbiamo, infatti, perduto il senso del monumentale, del pesante, dello statico, ed abbiamo arricchito la nostra sensibilità del gusto del leggero e del pratico. Sentiamo di non essere più gli uomini delle cattedrali e degli arengarî; ma dei grandi alberghi, delle stazioni ferroviarie, delle strade immense, dei porti colossali, dei mercati coperti, delle gallerie luminose, dei rettifili, degli sventramenti salutari.
Noi dobbiamo inventare e fabbricare ex novo la città moderna simile ad un immenso cantiere tumultuante, agile, mobile, dinamico in ogni sua parte, e la casa moderna simile ad una macchina gigantesca. Gli ascensori non debbono rincantucciarsi come vermi solitarî nei vani delle scale; ma le scale – divenute [p. 15] inutili – debbono essere abolite, e gli ascensori debbono inerpicarsi come serpenti di ferro e di vetro lungo le facciate. La casa di cemento, di vetro, di ferro e di vetro lungo le facciate. La casa di cemento, di vetro, di ferro, senza pittura e senza scoltura, ricca soltanto della bellezza congenita alla sue linee ed ai suoi rilievi, straordinariamente brutta nella sua meccanica semplicità, alta e larga quanto più necessario, e non quanto è prescritto dalla legge municipale, deve sorgere sull’orlo di un abisso tumultuante: la strada, la quale non si stenderà più come un sottopedaneo al livello delle portinerie, ma si sprofonderà nella terra per più piani, che accoglieranno il traffico metropolitano e saranno congiunti, per i transiti necessari, da passerelle metalliche e da velocissimi tapis roulants.
Per tali ragioni affermo che bisogna abolire il monumentale, il decorativo, che bisogna risolvere il problema dell’architettura moderna non rubacchiando da fotografie della Cina, della Persia e del Giappone, o imbecillendo sulle regole di Vitruvio; ma a colpi di genio, ed armati di una sola coltura scientifica e tecnica; che tutto deve essere rivoluzionato, che bisogna sfruttare i tetti, utilizzare i sotterranei, sminuire l’importanza delle facciate, trapiantare i problemi del buon gusto dal campo della sagometta, del capitelluccio, del portoncino in quello più ampio dei grandi aggruppamenti di masse, della vasta disposizione delle piante; [ p. 16] che è ora di finirla con l’architettura monumentale funebre commemorativa; che l’architettura deve essere qualche cosa di meglio e di più vitale; e che per ottenere questo qualche cosa bisogna cominciare a buttar per aria monumenti, marciapiedi, porticati, gradinate, a sprofondare le strade e le piazze, ad innalzare il livello della città, a rimaneggiare la crosta del mondo per ridurla infine serva di ogni nostro bisogno, di ogni nostro capriccio.
E concludo in sfavore:
Dell’architettura di moda di ogni paese e di ogni genere;
Dell’architettura classica, solenne, ieratica, scenografica, decorativa, monumentale, leggiadra, piacevole;
Dell’imbalsamazione, della ricostruzione, della riproduzione di monumenti;
Delle linee perpendicolari ed orizzontali, delle forme cubiche e piramidali che sono statiche, gravi, opprimenti, ed assolutamente fuori della nostra nuovissima sensibilità;
Dall’uso di materiali massicci, voluminosi, duraturi, antiquati, costosi, contraddittorio col complesso della cultura e della esperienza tecnica moderna. [p. 17]
Ed affermo:
Che l’architettura nuova è l’architettura del calcolo freddo, dell’audacia temeraria e della semplicità; l’architettura del cemento artato, del ferro, del vetro, del cartone, della fibra tessile e di tutti quei surrogati al legno, alla pietra, al mattone che permettono di ottenere il massimo della elasticità e della leggerezza;
Che l’architettura vera non è per questo un’arida combinazione di praticità e di utilità, ma rimane arte, cioè sintesi, espressione;
Che la decorazione, come qualche cosa di sovrapposto o di connesso all’architettura è un assurdo, e che soltanto dall’uso e dalla disposizione originale del materiale greggio o nudo o violentemente colorato, dipende il valore decorativo dell’architettura veramente moderna.
E infine affermo che, come gli antichi trassero l’ispirazione dell’arte dagli elementi della natura, noi – materialmente e spiritualmente artificiali – dob- [p. 18] biamo trovare quell’ispirazione negli elementi del novissimo mondo meccanico che abbiamo creato, di cui l’architettura deve essere la più bella espressione, la sintesi più completa, l’integrazione artistica più efficace.
Antonio Sant’Elia [p. 19]”
Giovanni Possamai: [No Title], p. 20-21
“Ho sentito disgusto di far il mestiere dell’imbalsamatore, perché ho capito che altra è la ragione ed il fine dell’arte.
Non intendo, né potrei stabilire dogmi: a qual fine limitare la nostra possibilità d’indagine?
Cerco perciò d’esprimere con sincerità la commozione che i diversi temi volta per volta mi danno. Sta solo nel mio temperamento lo stabilire la linea di condotta generale.
Ed affinché il mio temperamento e la mia possibilità di creare e di esprimere trovassero la forma; per poter infine da me solo, afferrare una rispondenza fra senso, sentimento ed intelletto in rapporto colla forma plastica, mi sono trovato nella assoluta necessità di distruggere per la mia arte tutte le formule ed i pregiudizi che la possono inceppare.
È inutile dire che non tento l’impressionismo del vero; ma un impressionismo spirituale. È lo stato d’animo notato con reli- [p. 20] giosità: religiosità che diventa qualche volta (le Tre variazioni sopra un tema doloroso) quasi misticismo ascetico; ma che non è mai volutamente negazione della vita.
Giovanni Possamai
Milano, 20 Maggio 1914. [p. 21]”
Achille Funi: [No title], p. 22-23
Io dipingo dei fenomeni plastici, ritmici, cromatici.
Il mondo è composto di volumi, di ritmi di volumi e di colori; la mia sensibilità è emozionata soltanto da questi fenomeni; essa non sente il fenomeno plastico, ritmico, cromatico.
Io entro nel mondo delle forme eliminando, a poco a poco, tutti gli elementi che non sono di esso.
Il mio spirito e la mia sensibilità, tendono in tal modo a purificare, a sintetizzare sempre più il fenomeno plastico, ritmico e cromatico.
Una scopa, un calamaio, un uomo, un cane, hanno, per me, lo stesso valore, inquantochè è la loro forma ed il carattere specifico del loro volume che emoziona la mia sensibilità plastica.
Un corpo in movimento si sforma ed assume un valore ritmico.
Il ritmo è una continuità plastica di un corpo in movimento; è il brivido della materia che si spande nello spazio. [p. 22]
Un treno in corsa fra le case di una città, muove con sé tutto quanto lo circonda; i cubi delle case sono trascinati da quel filo veloce: ciò è un fenomeno ritmico.
Il colore è subordinato alla forma; ogni forma ha un proprio colore, quindi, ha un valore plastico all’infuori del proprio valore cromatico.
Chi non ha sensibilità veramente moderne non può percepire tali fenomeni: essi non sono percepibili alle mentalità e sensibilità retrograde e costrette nei limiti dei consueti concetti estetici in fatto di pittura.
Bisogna quindi forzare lo spirito, ed entrare in tali fenomeni, se si vorrà capire quali valori siano a noi conosciuti.
Achille Funi. [p. 23]”
Carlo Erba: [No title], p. 24-26
“ La ragione di questo breve cenno sta nel fatto che talune mie ricerche di identica natura possono essere considerate disparatissime fra loro, mentre le unisce una ugual natura sintetica.
A volte cose che hanno determinato in me l’emozione hanno avuto ragion d’essere nella loro essenza descrittiva, ed il fenomeno descrittivo è appunto messo in evidenza (giovanetta alla toilette, passo di one-step).
In altre condizioni le cose m’hanno interessato, non come elementi di descrizione, ma come valori di movimento, di masse, di colori.
Ora, tanto nell’uno che nell’altro caso, la mia ricerca è informata ad un concetto di sintesi (perché rappresentare ritmicamente significa sintetizzare) con la differenza che, nelle prime, ho espresso il fenomeno in valori puramente sintetici-descrittivi, nelle altre in valori sintetici indipendentemente dalla descrizione.
Infatti, la sensazione che ho di una massa di corpi in mo- [p.24] –vimento è ritmica e non descrittiva, e ricorrere a mezzi descrittivi significherebbe essere all’infuori dalla necessità espressiva della mia opera, che non vuole rendere una sensazione per mezzo delle cose, ma attraverso il loro andamento armonico, dare una data sensazione.
Ho detto che sensazione ritmica è la sensazione che ho di un assieme di corpi in movimento; ma non intendo escludere che la medesima sensazione possa avere da corpi in stato di quiete: sensazione di simultaneità di forme e di colori indipendentemente dalle loro condizioni di spazio e dalle loro condizioni statiche (Sensazione ritmica di un interno di cattedrale). Perciò il fenomeno descrittivo viene ad essere subordinato al fenomeno plastico-ritmico, pur essendo d’uguale natura sintetica di quelle ricerche mie, là dove la descrizione delle cose è condizione necessaria alla vita dell’opera.
Ne viene come necessaria conseguenza uno sconvolgimento della forma (deformazione) in senso molto più ampio e generale che non sia stato fatto fino a ora nel comune concetto deformista.
Il concetto ritmico implica un ‘aggiuntività’ ritmica; ossia l’importazione nella pittura di quegli elementi geometrici (angoli, curve, ecc.) che hanno un dato valore di stasi o di moto. E non credo necessario dilungarmi sul valore di questi elementi, già accettati da tutta quanta la pittura più avanzata, ed [ p. 25] accettati appunto perché di dominio e comprensibilità universale.
Riguardo le mie ‘Interpretazioni musicalo’ (che son di diversa natura delle altre mie ricerche, pur avendo elementi costruttivi identici) dirò, a scanso di equivoci, che la mia opera è in diretto rapporto collo sviluppo armonico-melodico dell’opera musicale; nè derivano, le mie interpretazioni, da sensazioni all’infuori dalla pura manifestazione plastica, cromatica della musica. Esse vogliono rendere in volumi e colori, le sensazioni avute dalla musica, e son basate, per quanto riguarda il colore, fra l’affinità di sensazioni che si possono avere vedendo dati colori e toni, ed udendo date noe e tonalità musicali. Carlo Erba.[ p. 26]”
Catalogue Structure
"Primi aderenti al gruppo 'Nuove Tendenze'"
U. N., [No title], p. 3-5
Leonardo Dudreville, [No title], p. 6-12
Antonio Sant’Elia, [No title], p. 13-19
Giovanni Possamai, [No title], p. 20-21
Achille Funi, [No title], p. 22-23
Carlo Erba, [No title], p. 24-26
„Tavole“, n. p.
„Elenco delle opere“, n. p.
Additional Information
Other Mediums listed
Note
“Primi aderenti al gruppo ‘Nuove Tendenze’:
Giulio Ulisse Arata; Decio Buffoni; Mario Chiattone; Leonardo Dudreville; Carlo Erba;
Achille Funi; Gustavo Macchi; Ugo Nebbia; Giovanni Possamai; Antonio Sant’Elia.”
[n. p.]
Carlo Erba, "Giovinetta alla toilette" [Reproduction], n. p. - The title of the reproduction does not correspond to any catalogue entry.